La percezione dell’anziano nell’immaginario comune

Esistono specifiche modalità con cui viene rappresentata nell’immaginario comune l’età anziana e ad essa sono spesso associate caratteristiche specifiche e tratti peculiari, spesso poco aderenti a dati di realtà.

anzianiLa percezione dell’anziano nell’immaginario comune:

Il concetto di ageismo fu per la prima volta introdotto nel 1969 da Robert Butler, direttore del National Institute of Aging, che lo ha collegato ad altre forme di discriminazione come il razzismo ed il sessismo, definendolo come un processo sistematico di stereotipizzazione e discriminazione contro gli anziani per via della loro età[1].  A suo parere il fenomeno dell’ageismo è caratterizzato da tre componenti fondamentali[2]:

  • attitudini pregiudiziali contro gli anziani;
  • azioni di discriminazione;
  • pratiche istituzionali perpetranti gli stereotipi sugli anziani.

Ad oggi questo fenomeno viene per lo più definito come qualunque forma di discriminazione contro o a favore di qualsiasi gruppo d’età.

L’ageismo è un atto discriminatorio diverso dagli altri (sessismo, razzismo ecc.), principalmente per due motivi. Innanzitutto, categorizzare le persone sulla base della loro età non è un processo statico. La classe d’età a cui il soggetto appartiene tende a mutare con la sua evoluzione attraverso i diversi cicli di vita. Questo fa sì che considerare gli individui sulla base della loro età sia un fenomeno in continuo cambiamento, mentre le altre forme di categorizzazione usate tradizionalmente dalla società, quali il genere o l’etnia di appartenenza, rimangono costanti. In secondo luogo, nessuno può evitare il destino di invecchiare, a meno che perisca ad una giovane età, e quindi prima o poi potremmo diventare tutti possibili vittime dell’ageismo.

Ad oggi l’ageismo risulta essere una forma di discriminazione in rapida espansione, perpetrata sia dalle istituzioni a cui gli anziani maggiormente accedono (sistema sanitario e previdenziale) che dal sistema formativo e professionale. Di questi ultimi si denuncia la scarsità di progetti educativi dedicati agli anziani, la limitazione alla fruizione dei servizi nei confronti di questo tipo di utenza e la mancanza di una formazione geriatrica strutturata orientata agli operatori che prendono in carico gli anziani[3].

Erdman Palmore[4], che ha largamente indagato il fenomeno dell’ageismo, ha elencato le principali caratteristiche che costituiscono la base dell’ageismo:

1. lo stereotipo tende ad esagerare l’importanza di alcune caratteristiche particolari;

2. alcuni stereotipi sono creati senza alcune base oggettiva, e risultano affidabili in quanto associati ad altre tendenze che hanno una base di verità;

3. in uno stereotipo negativo, le caratteristiche positive o vengono omesse oppure non considerate sufficientemente;

4. lo stereotipo non mostra come la maggioranza abbia tendenze simili e caratteristiche

desiderabili;

5.lo stereotipo tende a non dare spiegazioni circa le cause di un certo atteggiamento della minoranza,

6.gli stereotipi lasciano scarso margine per il cambiamento

7. gli stereotipi lasciano scarso margine di variazione individuale circa una certa caratteristica del gruppo di appartenenza.

In una ricerca condotta dall’Università Berkeley della California sono stati indagati i gli stereotipi associati all’ageismo, di cui i principali sono risultati essere:

  • malattia: largamente diffusa risulterebbe l’equazione anziano = malato. Tuttavia, i dati della ricerca evidenziano come il 78% delle persone al di sopra dei 65 anni sia autosufficiente rispetto allo svolgimento delle attivitàdi vita quotidiana, e solo il 5% risulti istituzionalizzato;
  • impotenza: diventare anziani verrebbe correlato ad un’inevitabile perdita di desiderio sessuale, mentre evidenze empiriche dimostrano il contrario;
  • perdita di avvenenza fisica: la nostra società è vittima del mito della giovinezza, vista come età dello splendore e della bellezza;
  • declino delle abilità mentali: all’anziano si assocerebbero scarse capacità di imparare e ricordare, mentre recenti studi sulle abilità cognitive dell’anziano[5] hanno evidenziato come gli anziani siano in grado di apprendere e ricordare ed eventuali difficoltà in questo ambito non sono tanto dovute all’età, quanto alla mancanza di esercizio, alla motivazione ed alla malattia;
  • malattia mentale: risulterebbe diffusa la credenza per cui l’anziano viene ritenuto maggiormente a rischio di sviluppo di una malattia mentale. In realtà, gli studi condotti dall’Università di Berkley dimostrerebbero che solo il 2% della popolazione anziana è istituzionalizzata e di questi solo il 10% soffrirebbero di una malattia mentale grave.

Secondo Palmore una delle conseguenze più gravi dell’ageismo è che esso indurebbe negli anziani l’adozione di comportamenti aderenti all’immagine negativa elaborata dal gruppo dominante, così da confermare le forme di stereo tipizzazione di cui essi sono vittime. Infatti, le persone discriminate secondo Brewer tenderebbero ad adottare l’immagine negativa del gruppo dominante e a comportarsi così da confermare tale immagine; l’immagine negativa del gruppo dominante solitamente include prescrizioni su ciò che la persona dovrebbe o meno fare ( nel caso degli anziani, ad esempio, il fatto di essere felici, passivi, impotenti e poco produttivi)[6].

Palmore[7] individuerebbe quattro diverse risposte da parte degli anziani a tali prescrizioni:

  1. accettazione: spesso porta a confermare gli stereotipi;
  2. rifiuto;
  3. allontanamento;
  4. riformismo: la persona riconosce e mette in atto tentativi per eliminare lo stereotipo.

Una volta considerate le caratteristiche dell’ageismo e verificata la sua incidenza e rapida espansione, un primo passo per cercare di ridurre il fenomeno potrebbe essere quello di produrre cambiamenti nei sistemi che tendono a perpetrarlo (media, cultura popolare, istituzione) e cambiare l’atteggiamento individuale sull’ageismo. Per poter mettere in atto questi cambiamenti è necessario:

  • individuare gli atteggiamenti agesiti da estirpare, attraverso l’elaborazione e la somministrazione di test o questionari;
  • divulgare maggiori informazioni sull’anzianità;
  • favorire il contatto con gli anziani;
  • garantire una maggiore formazione sull’età anziana anche nelle scuole ed università;
  • promuovere riformismo ed attivismo sociale.

 

 di Gaia Del Torre

[1] Wilkinson, J and Ferraro, K. Thirty years of Ageism Research. In Nelson T, Ageism: Stereotyping and Prejudice Against Older Persons. Massachussetts Institute of Technology, 2002.

 



[1] Butler, R. N. Age-ism: Another form of bigotry. The Gerontologist, 9, 243-246, 1969.

[2] Butler, R.N. Dispelling Ageism: the cross cutting intervention, Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 503, The Quality of Aging: Strategies for Interventions (May, 1989), pp. 138-147.

[3] Barrie Robinson, Ageism (Curriculum modules on aging), School of Social Welfare, University of California at Barkeley, 1994.

[4] Palmore, E. Ageism: Negative and positive. New York: Springer, 1990.

[5] Barrie Robinson, Ageism (Curriculum modules on aging), School of Social Welfare, University of California at Barkeley, 1994.

[6] Palmonari A., Cavazza N., Rubini M., Psicologia Sociale, Il Mulino, Bologna 2002.

[7] Palmore, E. Ageism: Negative and positive. New York: Springer, 1990.

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