Depressione

Cos’è la depressione

Una definizione chiara e concisa del termine depressione si trova con difficoltà anche nei più completi manuali di psicopatologia e psichiatria che, proprio per ambizione di esaustività, tendono a fornire descrizioni molto complesse sfaccettate, nel complesso poco utili per i non specialisti.

Ciò che ci interessa sottolineare qui è che esistono principalmente un uso colloquiale ed un uso specialistico del termine depressione.

Nell’utilizzo colloquiale il termine depressione viene per la maggior parte a coincidere con una marcata emozione di tristezza che si prolunga nel tempo.

Nell’utilizzo specialistico, la depressione è caratterizzata da un abbassamento del tono dell’umore con significativa perdita di interesse e piacere per le attività che usualmente lo provocano. Non si tratta di uno stato d’animo momentaneo e si comincia a parlare di depressione solo quando esso dura per la maggior parte del giorno per almeno due settimane. Spesso vi si accompagnano sintomi quali la perdita di energie, la diminuita capacità di concentrazione, una sensazione di scarso valore personale e di colpa e una difficoltà nel prendere decisioni.

Può essere presente un estremo pessimismo che giunge fino alla sensazione che la vita non vale la pena di essere vissuta, con la possibilità che compaiano anche pensieri relativi alla morte o al suicidio.

Vi sono poi una serie di sintomi cosiddetti neurovegetativi, che riguardano il peso corporeo, il sonno, e l’attività psicomotoria, che possono assumere caratteristiche opposte da persona a persona. Possono esserci infatti una significativa perdita di appetito e di peso, oppure un notevole aumento dell’appetito. Riguardo al sonno si possono presentare sia insonnia che aumentato bisogno di sonno, mentre l’attività psicomotoria può essere caratterizzata da agitazione oppure da un netto rallentamento.

Gli stati di depressione sono per loro natura eterogenei. Se la persona depressa può rendersi conto che qualcosa non va e che è diversa da com’era prima, non esiste una depressione uguale all’altra, motivo per cui la diagnosi e il trattamento debbono avvenire in ambito strettamente specialistico ed essere adattati alla specifica persona. Vediamo perché.

Innanzitutto è vero che alcuni sintomi indirizzano il clinico nel riconoscere un paziente depresso, ma la depressione non è un semplice elenco di sintomi, semmai questa concezione deriva da una interpretazione superficiale dei moderni manuali diagnostici (ad es. il DSM V) da parte di un pubblico di non esperti. Se, infatti, i sintomi della depressione, anche elencati in maniera precisa, sono tutti presenti, ma non c’è una modalità di funzionamento mentale depressivo, non c’è la depressione. Ci sono altri disagi che meritano comunque di essere affrontati, ma non può essere attribuita la definizione “depressione”.

Andiamo invece alle radici del problema e cerchiamo di orientarci rispetto ai complessi processi che stanno alla base della depressione clinica, al di là delle manifestazioni mimiche e comportamentali o dalle verbalizzazioni spontanee del soggetto depresso, cerchiamo di capire fino in fondo cos’è la depressione.

DEPRESSIONE E TRISTEZZA

I poli fondamentali attorno ai quali si organizza il modo di funzionamento depressivo sono due:

  • il sentimento di tristezza [1]
  • la disforia, ovvero la consapevolezza di essere a disagio con sé stessi per un cambiamento interno a sé

[1] Utilizziamo qui il termine “sentimento” indicando il particolare vissuto affettivo con il quale la persona percepisce sé stessa, nelle sue attività psicologiche e corporee e nelle sue interazioni con gli altri.

È necessario porre attenzione al fatto che nessuno dei due poli è sufficiente per parlare di depressione, ma sono entrambi fondamentali.

È importante sottolineare che il sentimento di tristezza non coincide con la depressione. La depressione non è il polo estremo del sentimento di tristezza, ma è qualcosa di qualitativamente diverso.

Ciò che risuona insieme al sentimento di tristezza nella depressione è il secondo punto, ovvero la consapevolezza di essere a disagio con sé stessi per un cambiamento interno. Quindi dev’essere notata la variazione, la comparsa di un nuovo senso di disagio con sé stessi, di un cambiamento in peggio nello stare con sé stessi.

Questi elementi diagnostici possono essere anche un utile base per verificare l’esito della terapia. Un aspetto saliente dell’esito è se la persona ha la sensazione di essere tornata a star bene come prima (cessazione del cambiamento interno di cui sopra), oppure se questa sensazione è assente, al di là del fatto che vi siano stati alcuni miglioramenti evidenti.

Un altro aspetto centrale è che, in alcuni casi, il ritornare come prima potrebbe non essere la soluzione al problema, ma è invece bene che siano una serie di cambiamenti, perché solo tramite essi la persona può recuperare la condizione di benessere. Ma questo è un passaggio più particolare di ristrutturazione del sé che esula dal mero superamento dell’episodio depressivo.

Le due colonne portanti viste in precedenza (sentimento di tristezza e disforia) sono l’elemento centrale attraverso cui si va a strutturare la sindrome depressiva.

Gli elementi principali che vanno a costituire il funzionamento mentale della persona depressa si possono raggruppare attorno a cinque elementi principali: L’abulia e l’inibizione psicomotoria, l’inibizione psichica, il dolore morale, il pessimismo e i fenomeni fisici e neurovegetativi. Per capire cos’è la depressione non possiamo prescindere da questi cinque assi portanti.

  • Abulia ed inibizione psicomotoria

Nei racconti dei pazienti compaiono quasi sempre l’inerzia motoria, la caduta di qualsiasi energia vitale, l’astenia, l’esauribilità, la perdita di iniziativa comportamentale. Questi sintomi non sono sufficienti a configurare una depressione clinica.

Un elemento fondante è invece ciò che sta dietro a questa inerzia, ovvero un affievolirsi della volontà. In termini psicopatologici la funzione colpita è proprio quella della volontà.

Inseriamo qui un elemento importante per la terapia della depressione, che i curanti dovrebbero conoscere bene, ma di cui è importante che i familiari siano informati per poter facilitare la cura, ovvero che, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento, non si può fare riferimento alla volontà. Gli interventi considerati di buon senso del tipo: “ma dai, su, datti una mossa!” possono essere dannosi in questa fase.

Il paziente, infatti, si deve già confrontare con il proprio senso di colpa, con il proprio auto svalutarsi. Spronare il paziente all’azione in un momento in cui egli non è ancora in grado di utilizzare la propria volontà può solo causare una maggiore frustrazione, in quanto inevitabilmente non riuscirà a svolgere le azioni che è incitato a fare.

Su questo punto, però, va ben considerato anche il rovescio della medaglia, ovvero che nel momento in cui vi è stato un miglioramento sintomatologico sufficiente a consentire l’esercizio della volontà, è necessario riprendere ad utilizzarla. L’effetto della terapia della depressione non è quello di cancellare la depressione così come un antibiotico uccide i germi che hanno infettato l’organismo. La funzione della terapia è quella di ridare al soggetto ciò che egli aveva perso, in questo caso la capacità di utilizzare la propria volontà.

Il recupero della capacità di utilizzare la propria volontà, non vuol dire che la persona riprenda automaticamente ad usarla. E in questo momento è cruciale proporre al paziente un invito a riprendere gradualmente le attività che in precedenza svolgeva, partendo da quelle più semplici sino ad arrivare a una completa ripresa funzionale. Se in questa fase il paziente non riprende ad utilizzare la volontà per intraprendere delle azioni, il rischio è che la condizione depressiva permanga e tenda anzi a cronicizzarsi.

Quindi è fondamentale portare il paziente ad utilizzare il vantaggio che la terapia gli ha dato. La terapia non ha di per sé un effetto magico, è un forte aiuto, ma è poi fondamentale che sia il paziente stesso a uscire dalla depressione sfruttando questo aiuto.

In sintesi il problema non è semplicemente nel sentirsi fiacco o nel non sentire l’iniziativa, ma nell’affievolirsi della volontà. Ma come è possibile determinare se la volontà sta ritornando e se è quindi il momento di passare a una fase successiva della terapia?

L’elemento da valutare è innanzitutto la sensazione dell’inutilità dell’agire. Il depresso, infatti, spesso non agisce perché pensa che sia inutile. Chiaramente non si tratta semplicemente di un pensiero, è qualcosa di strettamente intriso di un’emotività negativa, ma sostanzialmente si presenta e viene presentato come una convinzione logica.

Inoltre è importante valutare se gradualmente ricompare qualche interesse, come al solito a partire da quelli più semplici, come la cura del proprio aspetto e dell’abbigliamento, sino a quelli più complessi e tipici di quella persona.

L’elemento della proiezione nel futuro, cioè la progettualità, è l’altro elemento che va studiato. Cioè se alle rimuginazioni sul passato o sui pensieri negativi del presente si affianca una capacità di vedersi di nuovo “in funzione” e di porsi dei piccoli obbiettivi per il futuro.

  • Inibizione psichica

L’inibizione non è solo psicomotoria, è anche mentale. Una difficoltà che può apparire evidente al depresso riguarda la lentezza del proprio pensiero, la stagnazione del pensiero, una riduzione delle associazioni mentali. L’incapacità e la difficoltà di sintesi possono portare alla perdita di iniziativa mentale, all’improduttività nello studio, nel sostenere esami, nell’affrontare una riunione sul lavoro.

La perdita della velocità e della facilità del pensiero comporta, per chiunque intenda relazionarsi efficacemente con il soggetto depresso, l’adeguarsi alla velocità che per lui è sostenibile in quel momento, considerando che la difficoltà riguarda sia la velocità di formulazione ed esposizione dei propri pensieri, che la comprensione di quelli degli altri. Allo stesso modo questo è un aspetto da valutare nel corso di una terapia. Per un soggetto depresso può essere difficile seguire un ragionamento a velocità colloquiale, e questo fattore va valutato nel momento in cui si propone un certo grado di stimolazione ambientale e comportamentale. Un po’ come affermato in precedenza riguardo alla volontà, ogni movimento terapeutico va introdotto al momento giusto, quando il paziente è in grado di recepirlo. 

  • Dolore morale

L’altro elemento fondamentale che è necessario considerare nella depressione è il dolore morale, che può rappresentare il collante psicologico della sintomatologia affrontata in precedenza.  Costruzione psicopatologica della psichiatria francese (utilizzata per esempio da Henry Ey), il dolore morale è la risonanza dolorosa immediata, cioè diretta, generata dall’esperienza della depressione. Esso si genera nel confrontarsi, da parte dell’individuo che ha la depressione, con la propria depressione, coni propri sintomi che pensa rimarranno permanentemente come sono.

Poiché il confronto è inevitabile il dolore morale è una presenza costante, immanente e specifica della depressione. È la consapevolezza penosa dell’esperire l’inibizione sia fisica che psichica, è il sentimento di vuoto interiore. Se non c’è questa risonanza di dolore morale è difficile parlare di quadro psicopatologico depressivo.

Hegel parla di coscienza infelice, ma il problema dal punto di vista psicopatologico non è tanto il fatto che tutto è negativo a questo mondo, bensì il fatto che il depresso, quando ha un modo di funzionare realmente depressivo, dice che è necessario che sia così, che è giusto che sia così, cioè ai suoi occhi ha proprio senso che sia così. Cioè il depresso ha spesso l’elemento dell’istanza etica, cioè è giusto e doveroso che sia tutto così negativo. Se il paziente si trova in una fase in cui ha un’istanza etica di tipo depressivo non possiamo metterci a discutere con lui o a fargli prendere delle decisioni. Vi è il rischio concreto di venirsi a trovare sul crinale del delirio olotimico, cioè di una vera e propria frattura del rapporto di realtà che, connessa a questa istanza etica, arriva fino a un’estrema autosvalutazione, a sensi di colpa implausibili, alle sensazioni di completa rovina.

  • L’ultimo pilastro del costrutto psicopatologico della depressione è costituito da pessimismo e cinismo. Nella depressione il pessimismo non è né un sentimento né un’idea, bensì una dimensione clinica essenziale, un modo di essere dell’individuo, realistico, presente, ovvero rappresentativo di quello che caratterizza un dato individuo in un dato momento. Non è accessoria o periferica al modo di funzionare dell’individuo, ne è l’essenza. Tutto il modo di funzionare mentale dell’individuo si riduce a questo, si identifica con la depressione. Il pessimismo, più l’istanza etica di cui abbiamo parlato prima, generano poi una spinta molto importante verso contenuti di colpa e di indegnità, anzi va sottolineato che nella psicopatologia della depressione questi non sono elementi indispensabili, ma sono presenti molto di frequente.
  • Vissuti somatici e disturbi neurovegetativi

Un quinto punto da tenere in considerazione riguarda gli aspetti più corporei della depressione.

Le sensazioni negative sono avvertite dei pazienti non solo a livello psichico ma anche nel corpo. Si tratta di quella che è stata definita depressione vitale o malumore vitale, che si manifesta in sensazioni negative ad esempio alla testa, al torace e all’epigastrio (come già evidenziato da Schneider), nonché in uno stato generale di prostrazione somatica.

Affini a quest’ambito sono anche i sintomi neurovegetativi. Sono quasi sempre presenti le alterazioni del sonno, che possono assumere i connotati dell’insonnia e del sonno disturbato, ma anche dell’ipersonnia. Si riscontra più tipicamente la perdita di appetito e di peso, ma in alcuni casi anche un aumento degli stessi. Il calo di interesse è desiderio che si registra in molte aree della vita del paziente riguarda spesso anche l’interesse e il desiderio sessuale.

Il depresso ha un vissuto somatico del sé negativo, che rappresenta anche in questo caso un’alterazione del rapporto con se stesso.

Non è chiaro quali siano le reciproche influenze negative degli aspetti somatici su quelli psichici e viceversa, essendo possibile ipotizzare sia che essi possano essere presenti indipendentemente l’uno dall’altro, sia che essi si influenzino a vicenda prevalentemente nell’una o nell’altra direzione.

Addirittura si potrebbe pensare che l’alterazione del rapporto sé stesso sperimentata dal depresso possa essere limitata a questo elemento dell’alterata cenestesi e che l’aspetto cognitivo del vissuto depressivo possa esserne una derivazione. In realtà la maggior parte degli studiosi afferma che entrambe sono componenti importanti che si influenzano reciprocamente.

Ora che sappiamo cos’è la depressione andremo  a vedere come si può affrontare.

Dr. Lorenzo MAGRI

Psicologo

Via Vittor Pisani 13 D – 20124 Milano

Iscrizione Ordine degli Psicologi della Lombardia n 10184

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