Salute e Internet: il 45% degli italiani fa autodiagnosi.

Salute e Internet: il 45% degli italiani fa autodiagnosi.
Una recente ricerca internazionale svolta dalla Bupa Health Pulse che ha coinvolto 12 paesi, tra cui l’Italia ha riportato questi dati, sottolineando da un lato l’importanza del ruolo di Internet, dall’altro i rischi che un uso scorretto di tale strumento porta con se.
La ricerca “Bupa Health Pulse 2010 International Healthcare Survey” ha coinvolto 12262 soggetti appartenenti a 12 differenti paesi del mondo, con lo scopo di creare una fotografia del rapporto tra salute e internet nell’arco del 2010.
Gli aspetti fondamentali indagati sono:
Possibilità di accesso a Internet
Tendenze relative all’uso della Rete per scopi inerenti la salute e il benessere
Quali informazioni sono maggiormente ricercate e a quale scopo
Margini di miglioramento della situazione ,quindi è meglio prendersi cura della salute e rafforzare le difese immunitarie con un integratore.
Tra i paesi coinvolti, oltre a nazioni che vengono definite “in via di sviluppo” per quanto concerne l’uso di Internet (come Cina, Russia, Brasile, India e Messico), lo studio ha coinvolto anche il Regno Unito, gli USA, l’Australia e una valida rappresentanza dell’Unione Europea (Francia, Italia, Germania, Spagna).
Dai dati riportati emerge come l’Italia non si collochi tra i paesi con le maggiori possibilità di accesso a Internet, tuttavia circa il 50% della popolazione dispone (i dati si riferiscono al 2010) della possibilità di accesso a Internet, mentre –a titolo di confronto- ben il 75% degli americani si collega normalmente alla Rete.
Il dato che però in questa sede suscita maggiore interesse riguarda la frequenza con cui la connessione a Internet o al Web avviene al fine di ottenere informazioni o consigli in merito a condizioni mediche o che, comunque, riguardano il benessere psico-fisico. Circa il 20% di coloro i quali accedono a Internet afferma di ricercare “spesso” informazioni di questo tipo, il 60% risponde “qualche volta” e il restante 20% non ricerca mai questo tipo di informazioni. Analoghi, in questo senso, i valori ottenuti anche negli altri paesi del bacino europeo, sebbene con alcune piccole differenze.
Ciò che lascia tuttavia pensare è che chi ricerca informazioni sulle condizioni di salute ricerca, nel 70% dei casi informazioni specifiche su farmaci e il 45% utilizza le informazioni per formulare una diagnosi.
___________________________________
COMMENTO:
Diagnosi psicologica? No al “fai da te”.
Il commento all’articolo “La Diagnosi in Italia? Il 45% usa il “fai da te”. Grazie a Internet”.
Sebbene la ricerca della Buba Health Pulse ponga l’accento sull’importanza dell’informazione che sta divenendo sempre più accessibile a popolazioni di utenti sempre più folte su tutto il globo terrestre (e questo è senza alcun dubbio un dato positivo), è necessario sottolineare come parte di questi dati risultino –almeno per la nostra italica realtà- alquanto allarmanti. Nello specifico, il fatto che il 45% delle persone che utilizza Internet anche per informarsi su questioni “di salute”, utilizzi tali informazioni per formularsi diagnosi, in una maniera che definire “arbitraria” è dire poco.
Molto spesso Internet è una fonte molto importante da cui attingere informazioni, allo stesso tempo tale fonte è troppo spesso (e soprattutto all’interno di alcuni ambiti come la salute) poco controllata. Il risultato è che sempre più spesso l’autodiagnosi porta a veri e propri disastri: pazienti che si autodiagnosticano e –soprattutto- auto-convincono della propria diagnosi sono sempre più frequenti all’interno degli studi dei professionisti della salute, e davanti a convinzioni così radicate (benché infondate) una vera diagnosi diviene un processo lungo e difficoltoso. Quello che si verifica spesso in questi casi è la cosiddetta “profezia che si autoadempie”, ossia –paradossalmente- la convinzione di avere una determinata patologia (mentale) può favorire l’insorgenza dei relativi sintomi, rinforzando la (errata) “diagnosi” inziale.
Quello dell’informazione è innegabilmente un diritto insindacabile, ma l’autodiagnosi è qualcosa –oltre che personalmente errato- assolutamente dannoso per la salute.
La professionalità sancita da lauree, master, seminari, approfondimenti, specializzazioni, ecc. ha lo scopo di fornire all’utenza finale (leggi i pazienti) una persona dotata di competenze specifiche, grazie alle quali tale professionista può essere in grado non solo di diagnosticare, ma anche di strutturare un processo di cura.
L’autodiagnosi, al contrario, fonda le sue basi sul reperimento di informazioni che possono essere –nella migliore delle ipotesi- incomplete (se non addirittura sbagliate), costituendo quindi una vera e propria minaccia per la persona che si cimenta in tale impresa.
Volendo ben vedere la “pratica” dell’autodiagnosi poco si discosta dall’esercizio abusivo della professione; l’unica differenza è che tale esercizio non viene messo a disposizione di un’utenza, ma svolto a discapito di sé stessi.
Paradossalmente, nelle benevoli intenzioni che possono esservi dietro al tentativo di autodiagnosticarsi una qualche patologia (ovvero il trovare un nome, e poi una eventuale cura al proprio disagio al fine di alleviarlo/ eliminarlo) si può incorrere nel peggiore dei danni che una persona potrebbe creare a sé stessa.
A pazienti che giungono in osservazione con una diagnosi già ben auto-formulata (di cui spesso non conoscono nemmeno il significato) grazie all’ausilio di Internet, l’obiezione che mi capita spesso di muovere è: “Lei si farebbe visitare da una persona ben sapendo che questi non possiede le competenze specifiche per fornirLe una diagnosi?”.
In questo senso il “fai da te” può essere utile (ed economico) in talune situazioni, in altre –come nell’ambito della salute- certamente economico, ma potenzialmente dannoso. E la salute, si sa, non ha prezzo.

dott. Gianluca Franciosi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *