Amore di mamma

mamma_dimmmi_che_mi_vuoi_beneMamma, dimmi che mi vuoi bene! 

Raramente può capitare di sentire un figlio o una figlia dire queste parole alla propria madre, molto più spesso la richiesta di amore alla mamma viene formulata tramite il cosiddetto “non verbale”, ovvero principalmente dei comportamenti messi in atto con lo scopo –più o meno conscio- di trasmettere un messaggio che riesce difficile verbalizzare.

Riesce difficile ad un figlio o una figlia, soprattutto se piccolo/a, chiedere alla propria madre in maniera esplicita di manifestargli/le il proprio affetto, proprio perché nei bambini è stato “inculcato” fin dai primi giorni di vita che “la mamma ti vuole bene”. Dato che i bambini sono tutt’altro che stupidi, si accorgono quando un’affermazione di questo tipo non abbia però riscontri tangibili nella realtà; quasi il bambino o la bambina pensasse che “è vero che la mamma mi ha detto che mi vuole bene, ma cosa significa? Come mi dimostra il suo affetto? Dove sono le carezze e le attenzioni che altre mamme hanno nei confronti dei loro figli? E perché la mia mamma non è così?”. Capita spesso che un figlio o una figlia, soprattutto a fronte dell’ultima domanda, ritenga di essere –in qualche modo- la causa della scarsa affettività della madre e quindi si prodighi in una serie di comportamenti che possono compiacere la madre. Tipicamente sono quei bambini che adottano abitudini diverse dai coetanei: amano letture complesse, sviluppano interessi “adulti”, tralasciando quelle attività solitamente amate dai bambini della loro età. Non a caso gli interessi che sviluppano e che loro stessi dichiarano di volere spontaneamente, sono le stesse attività che predilogono le loro mamme, quelle stesse mamme a cui richiedono dimostrazione di affetto.

Nei bambini infatti è insito -nel senso che è quasi istintuale- il processo di imitazione: sanno bene che quanto più si cerca di imitare l’altro, tanto più facilmente l’altro ci accetterà, poiché ci riterrà simile a lui, e questo è ancora più vero se “l’altro” in questione è una figura significativa. Allo stesso modo questi bambini si interessano “alle cose che piacciono a mamma”, perché così, avendo qualcosa in comune con mamma, saranno più simili e il bambino o bambina otterrà l’attenzione materna. Come detto, però, si tratta della sola attenzione e non di affetto. La madre sarà contenta di condividere con il proprio figlio/ figlia le attività che tanto le piacciono, perché è la stessa cosa che farebbe con un amico o amica: ben diversa è invece la relazione che dovrebbe intrattenere con il proprio figlio.

Se quindi il bambino o la bambina riesce ad ottenere l’attenzione della madre ne ottiene un cosiddetto “rinforzo positivo”, come dire che il suo sforzo viene premiato; in futuro si ricorderà che agire in quella determinata maniera ha portato –anche se apparentemente- il vantaggio ricercato e quindi sarà più propensa a ripetere un comportamento simile. Questo meccanismo –che utilizzando un tecnicismo- si chiama “Condizionamento Operante” è però, come abbiamo detto, non del tutto funzionale, nel senso che ciò che il bambino o bambina cercava non era la semplice attenzione materna, ma una manifestazione del suo affetto.

Alla luce di ciò si comprende come sia inevitabile una frustrazione che fomenta l’erroneo pensiero “forse sono io che non vado bene ed è per questo che la mamma non mi vuole bene”. La conseguenza è un abbassamento dell’autostima del bambino o della bambina che crescerà con la convinzione di essere lui o lei la causa di una anaffettività che invece è imputabile alla madre.

La bassa autostima è un “sintomo” presente in molti disturbi, in primis quelli pertinenti all’area ansiosa (Disturbo da Attacchi di Panico, d’Ansia Generalizzata, Fobie, ecc.) ed è caratterizzato, come dice la parola stessa, da una scarsa considerazione di sé e delle proprie capacità. Individui con una bassa autostima sono spesso persone insicure, che a volte tendono a compiacere gli altri anche se ciò significa andare contro a propri principi.

Ora, come facilmente si può intuire, non è detto che una madre restia a mostrare il proprio affetto porti i propri figli a sviluppare un Disturbo d’Ansia, qualsiasi esso sia. È però vero che a volte basta veramente poco per soddisfare le richieste dei figli. Molto spesso, infatti, il robot più evoluto o la bambola più sofisticata passano in secondo piano davanti a richieste apparentemente (anzi, non lo sono assolutamente) più banali. Ricorderò sempre un bambino di 6 anni che mi disse se poteva chiedermi un favore. Quando accettai, abbastanza preoccupato di essermi imbarcato in un promessa che avrei potuto non essere in grado di mantenere, mi disse “Puoi dire alla mia mamma che a me non interessa che ogni sera quando torna dal lavoro mi porta i regalini. A me basta che giochi con me”. In questo caso il bambino è stato in grado, nonostante la giovane età, di verbalizzare le sue richieste, in altri casi questo avviene in una maniera più “indiretta”: con il linguaggio non verbale.

Interessarsi agli “hobbies” della madre (lettura/ letteratura, cucito, découpage, ecc.) spesso mostra una sincera attrazione per attività divertenti (pensiamo soprattutto al découpage), ma in alcuni casi è il modo che il bambino o la bambina trova per avvicinarsi alla madre. Per intenderci, “amare” la Divina Commedia (e conoscerne a memoria dei passaggi) è lodevole nonché segno di grande cultura, ma se questo avviene a 10 anni è difficile credere che una lettura di tale spessore possa essere così divertente per un bambino o per una bambina, tanto da preferirla ai giochi insieme ai coetanei.

Ogni età è caratterizzata a modo suo e anticipare le tappe –agli occhi degli adulti- può essere segno di “precocità” o addirittura di “genialità”; a volte tuttavia è l’unico modo che un bambino trova per farsi vedere dagli adulti che ama: entrare nel loro mondo e farne parte, come se fosse anche lui o lei un adulto/a, è l’unico modo per essere considerati e, forse, anche amati.

di Gianluca Franciosi

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