Rischio di AIDS e dottori virtuali

di Mauro Cavarra

dottori virtuali

Una delle malattie con cui la società moderna si è scontrata in quest’ultimo ventennio e che ha provocato pesanti ricadute sia sul piano clinico che sociale è sicuramente stata l’AIDS. Si tratta di una malattia estremamente invalidante che deprime il sistema immunitario, con conseguenti ricadute per la salute e  qualità di vita del paziente. Molte sono state le campagne di informazione volte alla sensibilizzazione del pubblico verso il problema, molte le campagne di prevenzione, spesso però queste trascurano di considerare un aspetto della personalità del soggetto sieropositivo che potrebbe rivelarsi cruciale per il contenimento del contagio. Spesso gli affetti sono soggetti con tendenze a comportamenti che li pongono più a rischio della popolazione normale, come individui che hanno frequenti rapporti sessuali non protetti o tossicodipenti. L’equipe di Paul Gilbert, del Division of Behavioral Sciences, Professionalism, and Ethics, Università di  San Francisco, ha elaborato una strategia1 di intervento sui malati di AIDS piuttosto originale  che ha dimostrato una efficacia inaspettata. Ma perché agire sui malati e non concentrarsi sulla prevenzione rivolgendosi ai soggetti sani potenzialmente a rischio.

Una delle cause principali della diffusione della malattia è identificabile in quei soggetti affetti che  continuano dopo la diagnosi ad attuare comportamenti a rischio, inoltre con il miglioramento delle cure per l’AIDS, è aumentata la loro aspettativa di vita, e con questa la probabilità che un soggetto sano venga contagiato.

Metodo

Gli sperimentatori hanno reclutato 900 soggetti di nazionalità americana ed anglofoni, sieropositivi, e, dietro compenso pecuniario, li hanno sottoposti ad una serie di sessioni con un “Video Doctor”, un attore che interpretava un medico  con cui i soggetti potevano interagire. L’aspetto interattivo è forse stato uno dei più complessi da curare, avendo i ricercatori deciso che il colloquio avrebbe dovuto rispettare i canoni del Motivational Interviewing, procedura di stampo Rogersiano volta alla modificazione delle abitudini e comportamenti che si basa su tre aspettifasi:

·         Empatizzare così da poter condividere la prospettiva del paziente

·         Evidenziare le differenze tra il modo di vivere attuale del paziente e lo stile di vita target.

·         Far sì che il paziente affronti le resistenze al cambiamento come una reazione naturale e non patologica.

·         Accettare e supportare il paziente anche qualora questo non intraprenda il cambiamento.

Nonostante i ricercatori non si aspettassero la stessa efficacia di un colloquio condotto da un terapista in carne ed ossa, l’intervento ha fatto si che i soggetti sperimentali riducessero consistentemente la frequenza di comportamenti a rischio, e questi non comprendevano solo rapporti sessuali non protetti, ma anche l’abuso di sostanze quali eroina, cocaina, anfetamine ed ecstasy (metilenodiossimetanfetamina).

Prevention on Positives

Ovviamente questo non è l’unico studio che ha cercato di fare “Prevention on Positives”, cioè che ha tentato di elaborare strategie di contenimento della malattia agendo sugli affetti, ma questi interventi in genere rischiano di caricare il paziente di senso di colpa e inadeguatezza, ponendo l’accento sulla malattia e sulla sua virulenza.

Sebbene i risultati siano estremamente incoraggianti, pare che i comportamenti influenzati dal programma escludano una riduzione del rischio relativo all’abuso di alcool, facendo pensare che questo abbia una causa diversa rispetto ad altri tipi di abusi. Potrebbe anche darsi che il periodo di somministrazione del programma sia stato troppo breve per riuscire a modificare un comportamento dalle così tante cause patogenetiche.

Verosimilmente non è ancora prossimo il tempo in cui verremo curati da intelligenze artificiali, ma il tentativo del professor Gilbert ha dato alla luce uno strumento di supporto alla terapia tradizionale estremamente valido, non solo per la sua efficacia, ma anche per la sua brevità, accessibilità e facilità di somministrazione: si tratta infatti di sottoporre il paziente a sessioni di un’ora, in genere precedenti la visita medica vera e propria, che non richiede personale specializzato, e che può essere implementato ovunque vi sia un computer.

1.       Interactive “Video Doctor” Counseling Reduces Drug and Sexual Risk Behaviors among HIV-Positive Patients in Diverse Outpatient Settings Paul Gilbert, Daniel Ciccarone, Stuart A. Gansky, David R. Bangsberg, Kathleen Clanon, Stephen J. McPhee, Sophia H. Calderón, Alyssa Bogetz, Barbara Gerbert.

 

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