Panico e fuga: fenomeni di massa
Di Sonia Pasquinelli
Era il 30 ottobre 1938. Il celebre attore Orson Welles interruppe una popolare trasmissione musicale americana annunciando ai cittadini newyorkesi che una folla di alieni provenienti dal pianeta Marte stava invadendo la città, e che la situazione era così drammatica che le vie di fuga erano accerchiate, tranne un’ultima via di scampo a nord della città, che entro poche ore sarebbe stata inagibile per l’inarrestabile avanzata dei Marziani.
Questo semplicissimo scherzo scatenò il panico: in pochissimo tempo i trasporti pubblici smisero di funzionare, così come i negozi e persino gli ospedali e i vigili del fuoco. Le vie d’uscita dalla città si intasarono in brevissimo tempo a causa di automobili, mezzi di ogni tipo e orde di gente che a piedi si accalcava in direzione nord.
In questa fuga che coinvolse oltre un milione di newyorkesi non si contarono morti e feriti, e notevoli furono i danni provocati dalla massa informe in fuga verso il nulla. Orson Welles riuscì ad evitare il carcere, ma il disastro testimoniò con potenza l’indiscutibile vulnerabilità della città, e soprattutto fornì uno degli esempi più eclatanti dei comportamenti distruttivi della massa, e della follia irrazionale che si manifesta in maniera concomitante a episodi di panico generalizzato.
Oggi la psicologia delle masse è una disciplina in notevole espansione. Le dinamiche che governano gruppi immensi di persone travalicano gli orizzonti della psicologia dell’individuo, ed oggi sempre di più sorge la necessità di approntare misure di sicurezza per prevenire fenomeni tragici causati da meccanismi di questo genere.
La più grave tragedia della storia causata da una folla in preda al panico risale al 1863, in Cile, quando duemila persone persero la vita cercando la fuga da una cattedrale. Centinaia di episodi dello stesso tipo si sono avvicendati negli anni: anche oggi capita che le telecamere inquadrino scene d’inaudita irrazionale violenza nelle masse degli stadi,o nella barbarie delle manifestazioni di rivolta.
Già Freud tentava di fornire una descrizione e spiegazione del particolare rapporto tra il singolo e la massa, sottolineando come per l’individuo appartenente alla massa svanisca il concetto di impossibile: «nello stare insieme degli individui riuniti in una massa, tutte le inibizioni individuali scompaiono e tutti gli istinti inumani, crudeli, distruttivi, che nel singolo sonnecchiano quali relitti di tempi primordiali, si ridestano e aspirano al libero soddisfacimento pulsionale; non deve quindi sorprendere che nella massa l’individuo compia o approvi cose da cui si terrebbe lontano nelle condizioni di vita normali». Freud poneva l’accento sui fattori affettivi e pulsionali del fenomeno, sottolineando la tragicità delle conseguenze di una tale alienazione dell’individuo, abnegato al servizio di un utile di massa, collegato al principio di piacere.
Oggi invece la maggior parte degli studi in questo campo si occupa dello specifico settore degli episodi di panico e fuga, proprio per la praticità e il vasto fuoco di applicazione di eventuali risultati. Si pensa che una migliore comprensione dei movimenti pericolosi e apparentemente irrazionali di una folla in preda all’angoscia potrebbe permettere agli urbanisti di progettare delle città più vivibili e soprattutto più sicure, o agli addetti al controllo delle norme di sicurezza sul lavoro di organizzare con maggior responsabilità eventi a cui prendono parte centinaia o migliaia di persone, come raduni o concerti.
La domanda-chiave è: fino a che punto il comportamento delle masse è dominato dal caos e, dunque, imprevedibile? Come si muove davvero la folla in situazioni di panico?
Da oltre un decennio studiosi di diverse università e poli di ricerca si interrogano su quali modelli matematici e cibernetici permettano meglio di fornire risposte e compiere delle previsioni, avvalendosi di conoscenze che spaziano dal campo della matematica a quello della fisica a quello della psicologia.
Una ricerca interessante è quella presentata da Dirk Helbing e Anders Johansson dell’Università di Dresda (Germania), e commissionata dalle autorità dell’Arabia Saudita dopo un terribile episodio del gennaio 2006. Durante un tradizionale pellegrinaggio verso la Mecca oltre 300 pellegrini persero la vita sul ponte Jamarat, per asfissia o calpestati dalla folla. Un macabro caso volle che fossero effettuate delle registrazioni della strage. Proprio questi video permisero agli studiosi di rintracciare un algoritmo che determinasse la posizione e la velocità di ciascuno dei soggetti presenti sul luogo del disastro, basandosi sulle teorie del movimento conosciute in fisica. L’accurata analisi ha permesso di individuare tre fasi successive della tragedia, all’interno delle quali ha giocato un importante ruolo la sensazione di pericolo diffusa a macchia d’olio per la consapevolezza della densità della folla in continua crescita.
Altri studi basati sul metodo osservativo sono stati portati avanti da Mauro Annunziato e Alessandro Pannicelli dell’Enea e Carlo Liberto dell’Università di Bologna, che hanno analizzato il flusso dei passeggeri della stazione Darsena della metropolitana, a Genova, cercando di ipotizzare vantaggiose strategie di gestione del rischio e garanzia di sicurezza in luoghi sotterranei e mezzi di trasporto.
Infine, di recente Paul Torrens, docente dell’Università dell’Arizona, ha offerto un modello informatico in grado di simulare comportamenti collettivi complessi in città intere in preda al panico. Si tratta di un modello tridimensionale talmente articolato da rendere conto dei movimenti dei singoli soggetti, tenendo presente le differenze di sesso, propensioni, età, classificando le persone per profili psicologici.
«La folla è il sangue che alimenta gli agglomerati urbani – afferma Torrens – eppure non è mai stata studiata a fondo. Anche perché è impossibile riprodurre in un contesto cittadino una situazione di panico collettivo con centinaia di persone».