Mindfulness: una sola dimensione o struttura multifattoriale?

 
Mindfulness:
una sola dimensione o struttura multifattoriale?
“Sono tante le ragioni per le quali ci stiamo rivolgendo verso la consapevolezza, non ultima forse l’intenzione di conservare la nostra salute mentale o di recuperare il senso delle proporzioni e o il significato delle cose, o anche solo di tenere testa al tremendo stress e alla grande insicurezza del nostro tempo …in effetti limitarsi a sedere e a stare tranquilli per un po’ di tempo per proprio conto è un atto radicale di amore.”
Jon Kabat Zinn

Il termine “mindfulness” si riferisce ad una attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante rivolta alla propria esperienza nel momento stesso in cui essa viene vissuta.
Le prime descrizioni della mindfulness e di metodi utili a svilupparne le potenzialità risalgono alle tradizioni filosofiche e spirituali orientali, che suggeriscono una regolare pratica di meditazione come pratica di autoconoscenza. I suoi presupposti prevedono un’investigazione continua della realtà interiore ed esteriore per arrivare ad eliminare la sofferenza attraverso un cammino di liberazione, coltivando qualità positive come consapevolezza, accortezza, calma, comprensione e compassione.
Per evitare fraintendimenti, è necessario chiarire che la mindfulness è tutt’altro che una modalità di rilassamento, o una fuga dalla realtà: la mente “mindful” è infatti in grado di contenere tensione, stress e sofferenza, restando profondamente radicati nella realtà, con lucidità e chiarezza.
Negli ultimi decenni, pratiche meditative sono state integrate tanto negli interventi medici quanto in quelli volti ad affrontare la malattia mentale. I principali approcci a cui facciamo riferimento includono la Terapia Dialettico Comportamentale (DBT, Linehan, 1993), il programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) sviluppato nel corso di più di 20 anni da Jon Kabat-Zinn, pioniere riconosciuto delle applicazioni cliniche delle pratiche meditative di mindfulness, la Mindfulness-based Cognitive Therapy (MBCT: Segal, Williams, & Teasdale, 2002), l’Acceptance and Commitment Therapy o ACT, che adotta tecniche esperienziali per la modificazione del comportamento (Hayes, Strosahl e Wilson, 1999), e la prevenzione di ricadute nell’abuso di sostanze (Marlatt & Gordon, 1985; Parks, Anderson, & Marlatt, 2001).
Queste tecniche di intervento concettualizzano la mindfulness come una serie di competenze che possono essere apprese e migliorate al fine di ridurre i sintomi psicologici ed arrivare ad uno stato di salute e benessere. I programmi di Mindfulness-Based Stress Reduction e Mindfulness-Based Cognitive Therapy sono fortemente basati su pratiche meditative (che durano fino a quarantacinque minuti al giorno), mentre la Terapia Dialettico Comportamentale e l’Acceptance and Commitment Therapy puntano a incrementare le capacità relate alla mindfulness con esercizi più brevi, non coinvolgendo direttamente la meditazione. Queste tecniche sono importanti strumenti nel trattamento di molteplici patologie, fra cui depressione, disturbi borderline, ansia, attacchi di panico, disturbi con componenti psicosomatiche, ossessivo-compulsivi, alimentari e dell’umore.
Recentemente si è affermata l’idea che sia necessario delineare definizioni operative della mindfulness al fine di sviluppare strumenti validi dal punto di vista psicometrico per andare a indagarne empiricamente la natura, le componenti, i processi psicologici insiti nel training di tali capacità e i meccanismi attraverso i quali questo training porta i suoi effetti positivi. Negli ultimi anni in letteratura sono comparsi questionari autosomministrati per l’assessment della mindfulness, ampiamente impiegati anche per studiare le relazioni della mindfulness con altri costrutti psicologici. Ciascuno di questi questionari è composto da item a cui il soggetto risponde fornendo informazioni su sè stesso, sui propri pensieri e comportamenti.
Una delle domande più importanti da porsi è se la mindfulness possa essere descritta come un costrutto multifattoriale, e, in caso affermativo, come definire queste componenti. Alcune delle descrizioni contemporanee suggeriscono una natura multidimensionale. Ad esempio, la Terapia Dialettico Comportamentale (Dimidjian & Linehan, 2003b)   concettualizza la minfulness come formata da sei elementi: tre che specificano le cose che una persona “mindful” fa (osservare, descrivere, partecipare), e tre che specificano “come” le fa (efficacemente, con un atteggiamento non giudicante, concentrandosi esclusivamente sul momento presente). Anche la descrizione di Segal (Segal et al. 2002) è strettamente multidimensionale.
Al contrario, Brown e Ryan (2004) sostengono che la mindfulness consiste in un’unica componente definita come “attenzione focalizzata e consapevolezza di ciò che accade nel momento presente”, e che gli atteggiamenti prima citati non siano elementi separabili, ma semplicemente assunti di base della capacità di prestare attenzione piena ed esclusiva al presente.
Parliamo ora dei principali questionari che permettono di valutare la mindfulness, fornendone una misurazione.
La Mindfulness Attention Awareness Scale (MAAS; Brown & Ryan, 2003) è uno strumento composto da 15 item che misurano la tendenza generale ad essere attenti e consapevoli di quanto accade nel presente. E’ strutturato su un singolo fattore e restituisce un unico punteggio totale. Utilizza una scala Likert (le cui risposte vanno da “quasi sempre” a “quasi mai”) che valutano quanto spesso il soggetto sente di agire in modo automatico, quanto si sente impegnato e assorbito dalle attività che svolge, o quanto invece non presta attenzione a ciò che accade.
Un item che possiamo riportare come esempio è: “Mi capita di rompere o far cadere gli oggetti per trascuratezza, disattenzione, perchè sto pensando o per altri motivi”. Gli autori riportano una buona consistenza interna (coefficiente alfa di Cronbach: .82) ed alta validità convergente (il test correla altamente con altri test che misurano lo stesso costrutto o costrutti legati ad esso) e discriminante (il test non correla significativamente con altri test conosciuti che misurano variabili che risultano ininfluenti al contenuto del test che stiamo valutando). Per esempio, i punteggi MAAS correlano positivamente con l’apertura alle nuove esperienze, l’intelligenza emotiva e il benessere, negativamente con la ruminazione e l’ansia sociale, e non correlano affatto con l’autocontrollo.
I punteggi MAAS inoltre sono maggiori in soggetti precedentemente sottoposti a un training di mindfulness che nel gruppo di controllo. In un gruppo di pazienti con il cancro che hanno seguito un programma MBSR, all’aumentare dei punteggi MAAS, si nota una diminuzione di disturbi dell’umore e sintomi di stress.
Il Freiburg Mindfulness Inventory (FMI; Buchheld, Grossman & Walach, 2001), invece, è un questionario di 30 item che indaga l’osservazione (sospendendo il giudizio) da parte del soggetto di ciò che accade nel presente e la sua “apertura” ad esperienze negative. E’ stato sviluppato su gruppi di partecipanti a ritiri di meditazione ed è disegnato per essere utilizzato su soggetti che abbiano almeno un minimo grado di esperienza nelle pratiche meditative. Gli item sono costruiti sulla base di una scala Likert a quattro punti (da “raramente” a “quasi sempre”). Gli autori riportano una consistenza interna di oltre .9, ma non analizzano correlazioni con altri costrutti. Nonostante l’analisi fattoriale suggerisca la presenza di quattro fattori, trattandosi di stime in qualche modo instabili, gli autori hanno suggerito di interpretarla unidimensionalmente e raccomandano l’uso di un singolo punteggio totale.
Il Kentucky Inventory of Mindfulness Skills (KIMS: Baer, Smith & Allen, 2004) è invece un questionario di 39 item, che misura quattro dimensioni: l’osservazione, la descrizione, l’agire con consapevolezza, e la capacità di “accettare sospendendo il giudizio”. Esempi di item sono: “Mi accorgo di quando il mio umore inizia a cambiare” (osservazione), “Sono bravo a trovare le parole adatte per descrivere come mi sento” (descrizione), “Quando sono impegnato in qualcosa, la mia mente vaga altrove e mi distraggo facilmente” (consapevolezza), “Mi dico spesso che non dovrei sentirmi come invece mi sento”(accettare sospendendo il giudizio). Gli item si basano su una scala Likert a cinque punti, ed il questionario ha come riferimento la concettualizzazione di mindfulness proposta dalla Terapia Dialettico Comportamentale, approccio che cerca di sviluppare quelle capacità che rendono una persona “mindful” nella vita di tutti i giorni, e che non presuppongono esperienza nell’ambito della meditazione. Le stime di consistenza interna variano tra .76 a .91 per ciascuna delle quattro sottoscale. L’analisi fattoriale confermativa supporta la struttura a quattro fattori proposta, e sono state confermate le correlazioni attese con costrutti psicologici simili. Infine, i punteggi risultano significativamente inferiori in un campione di individui con disturbo di personalità borderline rispetto al gruppo di controllo, in almeno tre delle quattro sottoscale (Baer et al. 2004).
Il penultimo questionario è la Cognitive and Affective Mindfulness Scale (CAMS; Feldman, Hayes, Kumar & Greenson, 2004; Hayes & Feldman, 2004). E’ composto da 12 item che misurano attenzione, consapevolezza, focalizzazione sul presente ed altre caratteristiche e atteggiamenti della vita di tutti i giorni, non considerandoli come fattori o elementi distinti ma restituendo un unico punteggio totale. Tra gli item ricordiamo: “Cerco di prendere atto dei miei pensieri senza giudicarli”, “E’ facile per me concentrarmi su ciò che sto facendo” e “So accettare i miei pensieri e le mie sensazioni”. La consistenza interna riportata dagli autori oscilla tra .74 a .8; inoltre, i punteggi correlano positivamente con indici di flessibilità cognitiva e benessere percepito, e correlano negativamente con depressione, ruminazione, preoccupazione ed ansia (Feldman et al., 2004; S. C. Hayes & Feldman, 2004). Soggetti che hanno portato a termine un training nella abilità di mindfulness presentano punteggi notevolmente più alti (Hayes & Harris, 2000).
Infine, i sedici item dell’ultimo questionario, il Mindfulness Questionnaire (MQ; Chadwick, Hember, Mead, Lilley & Dagnan, 2005), analizzano il modo in cui il soggetto affronta pensieri e immagini dolorose. Tutti gli item iniziano con le parole “Solitamente, quando ho pensieri dolorosi..” e proseguono con una risposta collegata alle abilità di mindfulness, come ad esempio “..riesco solo ad accorgermene senza reagire” o “…riesco ad accettare l’esperienza”.
Anche qui si tratta di una scala Likert (a 7 punti) e, nonostante nel test siano rappresentati principalmente quattro sub-componenti della mindfulness, gli autori preferiscono prendere in considerazione e utilizzare il punteggio totale piuttosto che i singoli punteggi, affermando che un modello fattoriale unidimensionale sia quello che spiega meglio i dati. Gli autori riportano inoltre una buona consistenza interna (alfa=.89), un incremento dei punteggi in soggetti partecipanti ad un programma Mindfulness-Based Stress Reduction, e correlazioni significative con i punteggi ottenuti alla MAAS (r=.57) e con alcuni parametri relativi all’umore.
Uno studio molto interessante e completo è quello condotto da Baer e colleghi al fine di esaminare la consistenza interna e le correlazioni reciproche dei diversi questionari citati, nonchè la correlazione tra i punteggi dei test, esperienza nel campo della meditazione e altri costrutti supposti essere collegati o non collegati alla mindfulness.
I soggetti dello studio, 613 studenti universitari della facoltà di Psicologia (età media: 20.5 anni, 70% di sesso femminile) hanno partecipato ad una sessione di 60 minuti in cui veniva richiesto loro di rispondere ad un breve numero di domande relative a variabili demografiche (età, genere, anno di scuola, razza, esperienza di meditazione), e successivamente un plico di fogli che includeva, oltre ai cinque questionari citati, le seguenti misure:
–         Brief Symptom Inventory (BSI; Derogatis, 1992). Si tratta di un inventario composto da 53 item che forniscono punteggi per 9 scale sintomatologiche e un indice generale di severità dei sintomi (GSI). In questo studio è stato preso in considerazione soltanto l’indice complessivo. Gli autori ipotizzavano, in linea con la letteratura empirica sulla mindfulness, una correlazione negativa tra gravità dei sintomi e livello di mindfulness.
–         NEO-Five Factor Inventory (NEO-FFI; Costa & McCrae, 1992). Si tratta di un inventario di personalità composto di 60 item basate su un modello a cinque fattori: nevroticismo, estroversione, gradevolezza, scrupolosità, apertura all’esperienza. Le predizioni degli autori interessavano le dimensioni di neuroticismo (correlazione negativa, poichè la mindfulness è associata ad una riduzione degli affetti negativi), estroversione (dimensione non correlata, indipendente) e apertura all’esperienza (correlazione positiva attesa, poichè le descrizioni della mindfulness includono un alto interesse e recettività per gli stimoli ambientali).
–         Trait Meta-Mood Scale (TMMS; Salovey, Mayer, Goldman, Turvey & Palfai, 1995). E’ una misura dell’intelligenza emotiva, che include l’attenzione e la chiarezza dei sentimenti e l’abilità di regolare e gestire questi ultimi. Poiché gli autori hanno evidenziato un’associazione tra questa misura, bassi livelli di depressione, e alti livelli di auto-soddisfazione, ci si attendeva una correlazione positiva tra mindfulness e questo indice.
–         White Bear Suppression Inventory (WBSI; Wegner & Zanakos, 1994). Il WBSI misura la soppressione del pensiero, e i tentativi da parte del soggetto di evitare i pensieri indesiderati. Paradossalmente, tali tentativi esitano in un aumento nella frequenza di questi pensieri. Poichè le abilità di mindfulness includono la capacità di accettare pensieri e sensazioni per come vengono, lasciandoli scorrere spontaneamente, ci si aspettava una correlazione negativa.
–         Difficulties in emotion regulation scale (DERS; Gratz & Roemer, 2004). Si tratta di una misura della capacità di regolare le emozioni, che include la consapevolezza, la comprensione e l’accettazione delle emozioni, così come l’abilità di agire consapevolmente a prescindere dallo stato emotivo e l’accesso a strategie funzionali di regolazione emotiva. Gratz e Roemer riportano una consistenza interna di .93 e affidabilità al retest di .88 dopo 4-8 settimane. Poichè alti punteggi al test indicano difficoltà di regolazione emotiva, ci si aspettava una correlazione negativa.
–         Toronto Alexithymia Scale (TAS-20; Bagby, Taylor & Parker, 1993). L’alessitimia include difficoltà nell’identificare e descrivere le sensazioni e una profonda mancanza di interesse verso l’esperienze interne. Era attesa una correlazione negativa.
–         Scale of dissociative activities (SODAS; Mayer & Farmer, 2003). Si tratta di una misura recentemente sviluppata, che include l’agire senza consapevolezza, l’incapacità di percepire e analizzare i propri stati interni, il senso di irrealtà. Ha una buona consistenza interna (alfa=.95) e stabilità al retest dopo 38 giorni di intervallo (r=.77). Si ipotizzava una correlazione negativa.
–         Acceptance and Action Questionnaire (AAQ; Hayes et al). Questo questionario misura l’evitamento, definito come diffidenza verso il “nuovo” e tendenza alla fuga e all’interruzione di attività, anche quando agire in questo modo diventa pericoloso. E’ associato a rischio di psicopatologie e ad abbassamento della qualità di vita. Anche qui, si ipotizzava una correlazione negativa con le misure di mindfulness.
–         Cognitive Failurea Questionnaire (CFQ; Broadbent, Cooper, Fitzgerald & Parks, 1982). Si tratta di una misura della distrazione e della tendenza a compiere errori per mancanza di concentrazione (dimenticare cosa dovevamo comprare al supermercato, o dove abbiamo messo le chiavi di casa). Ha una buona consistenza interna (alfa=.89) e affidabilità al retest (.80-.82). E’ moderatamente correlato con sintomi di stress, ansia e depressione, mentre non dipende da intelligenza, livello di istruzione o desiderabilità sociale. Poichè le abilità di mindfulness aiutano gli individui a evitare errori legati alla distrazione, era attesa una correlazione negativa tra questo test e le misure di mindfulness.
–         Self-Compassion Scale (SCS; Neff, 2003a). L’ultima misura esaminata fa riferimento al costrutto di “self-compassion”, che comprende un atteggiamento indulgente verso sè stessi quando si è sofferenti, e la capacità di osservare, descrivere e contenere i propri pensieri e emozioni, da un lato essendone coscienti, dall’altro accettandoli senza giudizio e autocompatimento. E’ distinta dall’autostima, in quanto non ha una componente valutativa. Questa scala presenta una buona consistenza interna (alfa=.92) e affidabilità al retest (r=.93 dopo tre settimane di intervallo), e correla positivamente con le abilità sociali, intelligenza emotiva e soddisfazione. Correla invece negativamente con la tendenza all’auto-critica, perfezionismo, depressione e ansia. Poichè la mindfulness include consapevolezza e accettazione non-giudicante di tutte le esperienze, ci attendiamo una correlazione positiva.
Quello che è risultato dall’analisi dei dati è un buon livello di consistenza interna per ciascuno dei questionari (MAAS = .86, FMI = .84, KIMS = .87, CAMS = .81, MQ = .85).
I punteggi di ciascun questionario correlano positivamente con quelli ottenuti nelle altre scale, e il valore delle correlazioni spazia da .31 (MAAS e FMI) a .67 (KIMS e CAMS).
Per studiare la relazione tra punteggi di Mindfulness e esperienza nel campo della meditazione, poichè solo il 20% dei soggetti del campione riferiva di avere una piccola esperienza nel campo, gli autori hanno creato un sotto-campione distribuendo equamente la variabile “meditazione” (50% totalmente inesperti, 50% con un qualche grado di esperienza). E’ stato così possibile rintracciare correlazioni positive significative per il Freiburg Mindfulness Inventory e il Kentucky Inventory of Mindfulness Skills. Il fatto che le correlazioni per gli altri due test fossero quasi significative (ps= .06 per la CAMS e .07 per MQ) suggerisce la necessità di un approfondimento: in un campione in cui siano rappresentate meglio le competenze meditative, questa correlazione potrebbe risultare significativa.
Per quanto riguarda invece la relazione tra la mindfulness e le altre variabili esaminate, tutte le correlazioni attese – tranne quella tra MQ e “apertura all’esperienza”- sono state confermate, con valori di significatività statistica che spaziano da moderati ad alti. Questi risultati mostrano che tutte le scale di misura della mindfulness rispecchiano la concettualizzazione originaria del costrutto, e mostrano perciò le relazioni attese con questionari che misurano altre variabili legate o slegate dalla mindfulness.
Una volta aver determinato che i questionari relativi alla mindfulness hanno una buona consistenza interna e correlano tra loro, con l’esperienza meditativa, e – nella direzione attesa- con le altre variabili prese in considerazione, in una seconda parte dello stesso studio di cui abbiamo parlato, Baer analizzava la struttura fattoriale del costrutto della mindfulness.
Avere una chiara idea delle componenti della mindfulness può aiutare a studiare in modo proficuo e immediato la sua relazione con altri costrutti.
Se non scomponiamo la mindfulness in elementi più semplici, al contrario, potremmo studiare le correlazioni soltanto con un approccio generale, senza arrivare ad una piena comprensione dei meccanismi e dei pattern comuni alla base delle correlazioni osservate. Infatti, uno o più fattori appartenenti al nostro costrutto potrebbero spiegare più degli altri la correlazione con una determinata variabile. In altri termini, utilizzare solo il punteggio di correlazione totale, che include nella stima anche alcuni fattori che non correlano affatto con la variabile in esame, ci fornisce soltanto un’dea distorta della relazione.
Un’analisi a livello di fattori è anche importante per esaminare la validità incrementale nell’assessment della mindfulness. Il concetto di validità incrementale si riferisce al contributo accrescitivo delle abilità predittive di un test (Derogatis, 1987). Questo effetto è dovuto all’inclusione di uno specifico strumento di valutazione nel processo diagnostico clinico, riferendosi prevalentemente alla selezione di strumenti all’interno di una batteria psicometrica. Nel campo della ricerca clinica, tuttavia, sono spesso utilizzati diversi strumenti tra loro ridondanti in linea con la falsa assunzione che in questo modo niente sarà tralasciato. Un test che fornisce diverse sottoscale, invece, aumenta la sensibilità e la capacità discriminante della una scala di misurazione.
Lo studio condotto da Baer consisteva nella somministrazione delle cinque scale di mindfulness – i cui item venivano combinati in un unico set di domande- ad un campione composto da 613 studenti (gli stessi soggetti dello studio precedente). Il numero di item complessivi era di 112 elementi, e i risultati hanno portato all’individuazione di cinque fattori. E’ interessante notare che quattro dei cinque fattori coincidono con quelli precedentemente identificati nello sviluppo della scala KIMS (Baer et al., 2004).
Ecco una definizione dei cinque fattori individuati:
– Fattore 1: tendenza a non reagire e non rifiutare l’esperienza interiore (non-react)
– Fattore 2: attenzione e osservazione dei propri pensieri, sensazioni, percezioni ed emozioni (observe)
– Fattore 3: agire con consapevolezza, concentrazione, attenzione -e non in modo automatico (act-aware)
– Fattore 4: saper descrivere a parole i propri pensieri, sensazioni, percezioni ed emozioni (describe)
– Fattore 5: Atteggiamento non-giudicante verso l’esperienza (non-judge)
Le correlazioni tra i diversi fattori sono modeste ma significative, e spaziano in un range compreso tra .15 e .34.
A partire da questo studio è stato sviluppato il Five Facet Mindfulness Questionnaire (FFMQ), composto da 39 item assegnati ai diversi fattori identificati precedentemente.
Con il FFMQ è stato possibile procedere in un’analisi complessa degli aspetti della mindfulness più o meno associati alle diverse variabili esaminate. Ad esempio, il fattore che abbiamo definito come la “capacità di descrivere a parole i propri pensieri, sensazioni, percezioni ed emozioni” è risultato essere quella “sfaccettatura” della mindfulness che la connette all’intelligenza emotiva e all’alessitimia, mentre la capacità di agire con consapevolezza è l’elemento centrale nella relazione tra mindfulness, dissociazione e distrazione.
Infine, ricordiamo che nella letteratura empirica e teorica l’esercizio delle abilità di mindfulness aiuta a ridurre i sintomi e raggiungere uno stato di benessere. E’ perciò importante esaminare in che misura i diversi fattori ci permettono di predire il grado di salute mentale generale. A questo scopo, ricordiamo uno studio di regressione lineare condotto da Baer e colleghi, che ha confermato la relazione tra i diversi fattori della mindfulness e il Brief Symptom Inventory (BSI), questionario atto a valutare una serie di sintomi psichiatrici, ed ha mostrato come sono prevalentemente tre le dimensioni (actaware, nonjudge, nonreact) che spiegano la correlazione inversa tra capacità di mindfulness e gravità della sintomatologia.
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Commento

  • Buongiorno sono interessata a sapere quante tra queste scale sono validate in italiano? sono a prepare una tesi su questo argomento: misurare l’aumento di consapevolezza interiore dopo un corso 8 settimane yoga e meditazione e cercavo proprio in test prima e dopo. Grazie per questo studio.

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Dr. Lorenzo MAGRI

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