GESTIRE LA CRISI: tecniche psicologiche e comunicative in emergenza
Può essere definito come un manuale di “pronto intervento” psicologico che descrive in maniera semplice concreta e diretta le tecniche per gestire efficacemente la crisi e la comunicazione in situazioni di emergenza (come incidenti, traumi, aggressioni, calamità naturali o causate dall’uomo, conflitti, scontri a fuoco, e di stress mentale acuto) rivolto a soccorritori, militari o forze dell’ordine, personale medico e paramedico, volontari della protezione civile che devono riconoscere, affrontare e risolvere i sintomi dello stress mentale o psicofisico (ad esempio ansia, panico, agitazione psicomotoria, crisi claustrofobica), gli stati alterati per abuso di sostanze o anche le pulsioni aggressive e autolesionistiche dei soggetti protagonisti o vittime dell’emergenza. Questo libro può essere utile anche a chi incontra persone che presentano situazioni critiche di disagio mentale ed emotivo, quali ad esempio gli operatori ed i volontari che operano in strutture di recupero di tossicodipendenti, case protette o associazioni caritatevoli, o più banalmente nella vita quotidiana di ciascuno.
La comunicazione durante la crisi segue dei meccanismi differenti dalle normali regole della comunicazione umana:
- la persona nel mentre di un mutamento improvviso obbedisce ad automatismi, una sorta di obbedienza cieca alle figure autoritarie che ripropongono quelle genitoriali della sua infanzia;
- è necessario fare attenzione al contatto fisico, tenere a mente dove è concesso toccare (una mano, una spalla) e dove no (la coscia), farlo sempre in presenza di altre persone e sapere cosa il gesto potrebbe provocare (in una persona depressa ad esempio il pianto);
- sintomi di panico o psicotici acuti si propagano molto velocemente quindi è necessario individuare le persone più calme che ne sono “immuni” per fermare il contagio;
- è necessario stare calmi e impassibili anche in mezzo al caos;
- nel caso di crisi aggressive è necessario stare fermi al proprio posto, rispettare le distanze interpersonali, non mostrare i denti e non fissare con lo sguardo: chi va in agitazione ha uno spazio personale più ampio del normale e se lo invadiamo con il nostro corpo o con i nostri atteggiamenti non facciamo altro che aumentare l’escalation di aggressività;
- in ogni caso si deve sempre permettere alla persona in crisi di salvare la faccia;
- a prescindere dalla situazione e dal tipo di crisi si deve sempre infondere speranza ad oltranza.
Nel caso di un attacco di panico, poiché esso ha a che fare con la respirazione (ai primi sintomi le persone attuano la tentata soluzione di respirare più velocemente o profondamente, andando in iperventilazione e peggiorando i sintomi), può risultare utile fare in modo che il respiro della persona si normalizzi adottando qualche semplice accorgimento: far respirare la persona dentro ad un sacchetto di carta o nelle mani messe a coppa, chiederle di trattenere il respiro se c’è compliance, farle domande neutrali con un ritmo monotono e continuo.
Nel caso di un attacco psicotico, con presenza quindi di deliri o allucinazioni, bisogna trattare la persona come se vedessimo ciò che lei vede: non bisogna confutare mai in contenuti di un delirio perché esso è resistente e si rafforza sempre di più se gli si va contro.
Nel caso drammatico di un tentativo di suicidio si deve sempre partire dal presupposto che è impossibile prevedere il comportamento di un essere umano e che chi lo attua è solitamente senza speranza e convinto di non poter ricevere aiuto da nessuno; bisogna inoltre sfatare i miti del senso comune secondo i quali chi lo dice non lo fa, è un fatto puramente dimostrativo quindi non pericoloso, se si provoca la persona questa non lo attuerà.
Autori: M. Rampin (psichiatra e psicoterapeuta, ex militare, esperto di terapia strategica) ,
L. Anconelli (specialista in comunicazione, formazione, coaching)
Edizioni Librerie Militari
Articolo di Claudia Negretto