Conformismo e mentalità: differenze transculturali nell’approccio al gruppo

Di Sonia Pasquinelli

In psicologia sociale si fa spesso riferimento al concetto di “pubblico immaginario”, proposto inizialmente da Elkind per indicare l’atteggiamento dell’adolescente- ma anche dell’adulto- che cerca di prefigurarsi le reazioni e I giudizi altrui prima di agire, cercando di anticipare l’ammirazione o la riprovazione altrui, presunte che siano, sulla base di ciò che egli pensa.

 

Non è forse vero che spesso ci sentiamo esposti al giudizio altrui, anche quando la nostra ragione ci fa notare come questo sia oltremodo improbabile?

 

Si tratta di un bias che ha molti punti di contatto con il concetto di egocentrismo, e che oggi viene indagato da numerosi studi che tentano di rispondere a specifiche domande. Alcune di esse indagano lo sviluppo di questo fenomeno nel corso del tempo,con l’avanzare dell’età, mediante studi longitudinali, ossia studi che si protraggono nel tempo riguardando sempre lo stesso gruppo di soggetti. Infatti pur essendo verisimile che i giovani, in una fase di impegno nella cura della creazione della propria immagine personale, possano ingannarsi e pensare che anche gli altri condividano questo loro interesse, ci si chiede quanto in gente “adulta” questo atteggiamento si avvicini a qualcosa di patologico e quando sia semplice espressione di un tratto della personalità.

 

Si tratta forse di una tendenza generale degli esseri umani, che attribuiscono un’importanza eccessiva ai giudizi altrui, al punto di diventare maniaci cultori della propria immagine pubblica, schiavi delle apparenze e della dimensione sociale?

 

Una seconda linea di ricerca su questo fenomeno ha un approccio transculturale. Spesso, quando parliamo dei popoli orientali, immaginiamo come persone educate e riservate fino al parossismo, che “non telefonano sul treno perchè darebbero fastidio al vicino di posto”. Soprattutto, immaginiamo una logica di gruppo di stampo rigidamente conformista.

 

Per molti, la cultura giapponese risulta difficile da decifrare, proprio a causa di questa scarsa propensione all’individualismo e per i suoi modi di fare molto manierati. Lealtà, solidarietà e rispetto sono valori fondamentali per un giapponese e per questo l’egoismo è considerato il peggior aspetto del carattere.

 

“ Il gruppo ha molta importanza nella cultura giapponese, ma ciò nonostante questo non significa conformismo. Collegandolo infatti al concetto di egoismo, non ci si aspetta che le persone pensino come il gruppo, ma al gruppo.”

 

Agli individui più sensibili, il peso di questa tenzenza culturale che intalune occasioni approssima l’auto-annullamento appare insostenibile. Nasce dunque una fuga o un’estrema manifestazione di rifiuto, specialmente nei giovani “ribelli”, che con gesti disperati manifestano la necessità di preservare la propria identità.La sfida diventa spesso trovare uno spazio individuale nel più ampio contesto collettivo, ricavare un angolo nel mondo in cui poter esistere come individui con desiseri, pensieri, esigenze e attitudini proprie e indiscutibili. 

 

Uno studio transculturale condotto da un equipe di psicologi (Toshio Yamagishi, Hirofumi Hashimoto e Joanna Schug) della Hokkaido University di Sapporo, in Giappone, e apparso sull’ultimo numero della rivista “Psychological Science”, ha cercato di indagare scientificamente queste ipotetiche differenze di percezione sociale e di comportamenti.

 

Il semplice atto di scegliere un oggetto in uso nella vita quotidiana, come una penna, può diventare indicativo delle dinamiche individuali di selezione e evidenziare eventuali differenze culturali tra etnie diverse. L’ipotesi di partenza era che il comportamento di un individuo è attribuibile non tanto alle sue intrinseche preferenze, quanto alle convenzioni sociali della sua cultura, almeno in quelle situazioni in cui non viene a trovarsi in un vuoto sociale in cui gli individui non sentono alcuna necessità di considerare i giudizi o le potenziali reazioni degli altri. In un vuoto sociale verrebbero espresse le preferenze reali e personali di ciascuno, ma in altre situazioni questo non avviene, e quello messo in atto è semplicemente il comportamento specifico di ogni cultura. L’ipotesi afferma dunque che nella maggior parte dei casi gli individui mettano in atto comportamenti specificamente “culturali”, ossia basati su strategie sociali ampiamente collaudate.

 

Lo studio mostra come effettivamente ciò che appare come una preferenza del singolo individuo, nella cultura personale è fortemente influenzata dalla paura dei giudizi della società.

 

Una costellazione di studi affiancati a quello principale hanno confermato lo stereotipo secondo cui gli statunitensi in media agiscono preferendo l’originalità e i giapponesi in maniera piùconformista. I volontari, soggetti americani e giapponesi, avevano la possibilità di scegliere in una scatola piena di penne, quella che preferivano. Le penne erano tutte dello stesso colore tranne una, di colore diverso.

 

I soggetti appartenenti ad entrambi i gruppi hanno mostrato di scegliere la penna del colore più comune se sontrollati da uno sperimentatore presente, o se altri partecipanti avevano già effettuato la scelta davanti ai loro occhi. Tuttavia, in scenari di cosiddetta “ambiguità di rilevanza sociale”, ossia quando era chiaro che l’impatto della loro scelta sulle opinioni e guidizi altrui era assolutamente nullo, mentre individui statunitensi tendevano a prediligere il colore raro, i giapponesi continuavano a preferire il colore della maggioranza. Probabilmente questi risultati suggeriscono che la scelta differenziale dipenda fortemente da differenze normative di tipo sociale, e non da differenze innate di reazione spontanea.

 

Possiamo dunque parlare di originalità e conformismo come di caratteristiche differentemente distribuite in popolazioni appartenenti a culture diverse? Anche se i dati sperimentali sembrano affermare proprio questo, si tratta di differenze da prendere con la dovuta cautela. I fattori sociali sono la componente rilevante del fenomeno, e non quelli innati. Una differenza di fondo è nell’interpretazione di situazione cariche di ambiguità: mentre gli statunitensi sono portati a pensare che nessuno sia pronto a interessarsi alle loro scelte, spiega Yamagishi, che abbiamo citato tra i curatori dello studio, i giapponesi hanno la tendenza a sentirsi osservati, quasi sorvegliati, dalle persone circostanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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