Sessismo e lavoro

Di Sonia Pasquinelli

Tra le forme di discriminazione comuni tra gli esseri umani si annovera il sessismo, ossia un’insieme di convinzioni molto radicate che sempre includono la presunta superiorità di un sesso rispetto all’altro.

Spesso forme estreme di questi atteggiamenti determinano i fenomeni di misoginia (odio per le donne) e misandria (odio per gli uomini).

Il “pensare per stereotipi” è da sempre una delle caratteristiche degli esseri umani, portati a considerare ogni individuo in modo diverso a seconda del gruppo di appartenenza e assegnare in base a questo qualità positive o negative a ciascuno, senza un’analisi approfondita né una conoscenza meno che superficiale.

L’origine di una differenziazione gerarchica degli individui di sesso diverso, lungi dall’avere base biologica o scientifica, ha basi religiose, storiche, o semplicemente è radicata nell’ignoranza.

Ecco come il fenomeno viene descritto da John Zerzan, filosofo statunitense:


“Lo stretto vincolo tra sessismo e gerarchia si evidenzia al passaggio dalla piccola società primitiva di villaggio all’avvento delle grandi civiltà.
E il passaggio più profondo avvenne dentro la psiche dell’individuo.
Le donne cominciano a perdere quella parità che fino ad allora avevano avuto con gli uomini (ma ci sono anche state società matriarcali); un cambiamento che riguarderà non solo la loro condizione di vita, ma anche il modo di pensare se stesse.
Sia a casa che nell’economia la divisione del lavoro perde le precedenti forme egualitarie e diviene sempre più gerarchica.
Gli uomini rivendicano la superiorità del loro lavoro rispetto a quello delle donne; più tardi l’artigiano affermerà la sua superiorità sul contadino ed infine l’intellettuale affermerà la sua sovranità sugli operai.
La gerarchia si instaura nell’inconscio individuale in un sistema convalidato anche dalla religione, dalla morale e dalla filosofia”.

 

Il sessimo ha influenza sullo stipendio

 

Secondo alcuni (Bell Hooks, 1998) è necessario sottolineare “quanto sia importante capire la differenza, quanto siano rilevanti i modi in cui status razziale e di classe determinano sino a che punto si possono affermare il dominio e il privilegio maschili e, ancor di più, in che forma razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano e si sostengono a vicenda”, poichè “non è possibile analizzare il razzismo come un fenomeno monolitico e lineare, come se si manifestasse sempre nelle stesse modalità, indipendentemente dai contesti e dagli attori sociali”.

Dunque il sessismo non consisterebbe in un fenomeno con caratteristiche proprie e ben delineate, bensì di una delle mille sfaccettature di un atteggiamento più generale e più universalmente riconosciuto come errato, il razzismo.
I ruoli sessuali e la percezione di essi hanno un forte impatto sulla società e sulla vita si tutti i giorni, spesso in modi che davvero non ci aspetteremmo.

Uno studio interessante e particolare, condotto da alcuni ricercatori dell’Università della Florida e pubblicato recentemente sul “Journal of Applied Psychology”, ha indagato la relazione tra ideologia in merito di parità tra sessi e livello di retribuzione.
Contro le aspettative, la situazione è molto diversa, se non diametralmente opposta, a seconda che si tratti di uomini o donne, anche se in entrambi i casi è risultata una correlazione statisticamente significativa tra retribuzione e visione dei ruoli.

Gli uomini più “tradizionalisti” (e quindi propensi a ritenere giusto assegnare alle donne ruoli subordinati o addirittura come unica mansione quella di casalinga) tendono ad avere stipendi medi più alti di coloro che etichettano sé stessi come “progressisti”, sostenitori delle pari opportunità tra generi.

Al contrario, le donne tradizionaliste non guadagnano affatto di più di quelle con una visione egualitaria, anzi potrebbe dirsi vero il contrario: le tradizionaliste guadagnerebbero circa 1500 dollari in meno delle altre.

Per giungere a queste conclusioni, Timothy Judge, Beth Livingston e colleghi hanno raccolto un campione di individuo statunitensi, uomini e donne, intervistati per ben quattro volte tra il 1979 e il 2005. Il campione contava in principio oltre 12.000 persone di età comprese tra i 14 e i 22 anni.
L’intervista consisteva, ogni volta, in un set di domande riguardanti i ruoli che avrebbero assegnato a individui di sesso opposto sia in contesti lavorativi che domestici, specialmente nella cura dei figli. Venivano poi indagate le convinzioni religiose, i valori etici, il livello di educazione, e, soprattutto, quello di retribuzione.
A partire dalla raccolta e da una prima analisi dei dati è risultato evidente come fosse possibile considerare la visione dei ruoli un predittore accurato del livello di retribuzione, relazionato anche ad altri fattori quali il livello di educazione, l’importanza e la complessità della mansione svolta e le ore settimanali di lavoro.
Secondo gli studiosi, si parlerebbe addirittura di circa 8500 dollari annui in più all’anno per gli uomini tradizionalisti, a discapito dei loro colleghi dalla mentalità più aperta e moderna..

“Le persone più tradizionaliste sembrano voler preservare la storica separazione tra lavoro e ruoli domestici: e pare proprio che ci riescano”, commenta Timothy Judge “Ciò si verifica anche se nell’attuale organizzazione del lavoro è evidente una parificazione dei ruoli.”
Quale potrebbe essere la causa di un fenomeno simile?
“Gli uomini più tradizionalisti sono iper-competitivi e più abili nel negoziare salari elevati, mentre i datori di lavoro, nel loro subconscio, considerano chi dà valore alla parità dei sessi un po’ effeminato” ipotizzano gli psicologi responsabili dello studio.
Un’unica consolazione: cala drasticamente, nel corso degli anni, il numero degli uomini a favore della donna “vecchio stampo” dedita ai lavori di casa, a favore di visioni paritarie.
Che sia in via di scomparsa allora anche il gap salariale?

 

Da YouTube: filmato su sessismo e lavoro

 

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