Fobia sociale e Timidezza

Dipinto della timidezzaE’ molto importante distinguere un quadro di fobia sociale (ansia sociale) da uno di semplice timidezza. La ricerca non è ancora concorde se ritenere l’ansia sociale come un’espressione estrema della timidezza (e quindi considerare le due condizioni lungo un continuum, differenziate solo da fattori quantitativi) oppure se considerare ansia sociale e timidezza come due condizioni diverse con aree di sovrapposizione ed in particolare intendere la timidezza come un costrutto più ampio della fobia sociale.
Un recente studio ha analizzato le differenze tra le due condizioni, mostrando le minor performance sociali dei soggetti con ansia sociale, in particolar modo nel parlare in pubblico.

Ma ecco un esempio di come appare la vita di una persona affetta da disturbo da ansia sociale:

 La signorina Fortunata,  impiegata di 35 anni, vive con la madre ed il fratello. Si presenta in ambulatorio psicologico sotto consiglio del proprio medico per un problema di abuso d’alcol associato ad una sintomatologia depressiva…

L’esordio dell’abuso viene  fatto risalire a circa 15 anni prima,  quando Fortunata cominciò a ricorrere all’alcool in situazioni di interazione sociale, come feste tra amici, cene o prestazioni lavorative, per sentirsi più a suo agio ed essere più spigliata. L’assunzione di alcool, inizialmente sporadica,  con il tempo divenne più frequente  conducendo ad una malattia del fegato.

Fin dall’adolescenza Fortunata evita i rapporti con gli altri poiché in tutte le situazioni sociali prova un marcato disagio per paura di sembrare goffa e fare brutta figura.

“Non riuscivo a partecipare alle cene organizzate dai miei genitori e mi rifugiavo in camera; non riuscivo a socializzare, mi limitavo a rispondere alle domande dei miei coetanei”.

Con l’inizio dell’università riuscì a stabilire alcune amicizie, pur avendo difficoltà nei rapporti interpersonali per paura di apparire ridicola ed inadeguata. Infatti, parlando con estranei, con i compagni di corso e  talvolta anche con persone che conosceva da tempo, si sentiva nervosa, aveva vampate di calore, sudava e provava la sensazione di avere un ronzio alla testa che le impediva di capire quanto le veniva detto. Questa estrema sensibilità al giudizio degli altri ha progressivamente  condizionato il funzionamento scolastico  e causato un forte calo nelle performance di studio.

“Ero tesa e nervosa quando dovevo affrontare esami orali, tensione che poteva cominciare anche una settimana prima della prova, mi batteva il cuore e le mani mi tremavano e sudavo.”

Le difficoltà erano ancora maggiori  nel rapporto con individui dell’altro sesso. Fortunata ricorda bene il suo primo appuntamento con un uomo,  la tachicardia, la sudorazione profusa, il rossore, la sensazione di morsa allo stomaco  provate in quell’occasione.

Nel corso degli anni ha iniziato ad evitare tutte quelle situazioni che precedentemente le avevano provocato imbarazzo, trovandosi progressivamente sempre più isolata. Oggi tende a limitare al massimo le interazioni sociali, soprattutto con gli estranei, o le affronta assumendo alcolici o ansiolitici, senza i quali ormai non esce neppure di casa.

Dice di sentirsi marcatamente depressa, insoddisfatta, inadeguata e pessimista; si sente più serena solo quando è sola in casa a guardare la TV, a leggere e ascoltare musica.

 

La fobia sociale è una condizione psicologica che rientra nella famiglia dei disturbi ansiosi. Il soggetto mostra un marcato disagio qualora si trovi ad affrontare situazioni in cui si prevede interazione sociale. Questo disagio è preceduto spesso da ansia anticipatoria che, quando particolarmente intensa, può portare a comportamenti di evitamento. È facile dedurre che un soggetto che  si trova costretto dalla sua paura di essere giudicato come inadatto, stupido o goffo ad evitare qualsiasi tipo di contatto con altre persone, abbia il funzionamento sociale estremamente coartato. Si è rilevato che molti di questi pazienti, oltre a passare la maggior parte del tempo in un vero e proprio isolamento, svolgono lavori in cui non c’è interazione con altri, spesso si tratta lavori umili, saltuari e malpagati. Nella peggiore delle ipotesi non lavorano affatto. Il loro rendimento scolastico è spesso carente a causa dell’influenza che la loro ansia ha sulla prestazione.

 I sintomi della fobia sociale investono tutta la persona, si manifestano infatti sia sul piano fisico, che sul piano emotivo che sul piano cognitivo. Non è raro vedere arrossamenti del viso, tremori delle mani e della voce, sudorazione, tachicardia e tic nervosi; ma anche crolli della concentrazione e dell’attenzione, rievocazione di situazioni in cui si è fatta una brutta figura o in cui si è fallito. Questi soggetti hanno forti timori di essere osservati dagli altri, di essere giudicati, di essere visti quali deboli o incapaci e dimostrano una scarsa fiducia in se stessi.

I sintomi possono emergere in particolari situazioni (mangiare in pubblico, sostenere esami, parlare con persone autorevoli, cominciare una conversazione con sconosciuti, parlare in pubblico…) o pervadere l’intera vita sociale della persona. In quest’ultimo caso si verificano i fenomeni di isolamento a cui si accennava prima.

 

Le cause di questa condizione sono tuttora materia di dibattito all’interno della comunità scientifica. Si tratta di un disturbo complesso che ha alla sua base sia fattori genetici ereditabili sia fattori ambientali. Studi di genetica del comportamento condotti su gemelli monozigoti separati alla nascita hanno dimostrato che la componente genetica si attesta intorno al 50% dell’ereditabilità totale, e che la restante metà è determinata da fattori ambientali, come il contesto familiare o scolastico. Si è rilevato un coinvolgimento di alcuni sistemi neurotrasmettitoriali  come il serotoninergico (tra l’altro coinvolto anche nei disturbi dell’umore, scoperta coerente col fatto che il disturbo da ansia sociale spesso si trova associato a disturbi dell’umore come nell’esempio del caso clinico citato all’inizio). Anche il sistema dopaminergico sembra coinvolto.  Per quanto riguarda le cause ambientali esistono diverse ipotesi, ognuna legata ad una particolare cornice teorica. L’ipotesi evoluzionistica ipotizza che questo disturbo origini da una attivazione anomala di due sistemi volti a garantire la sopravvivenza dell’individuo: il sistema di percezione delle minacce (che sarebbe responsabile dell’attivazione  di meccanismi competitivi  e dell’organizzazione gerarchica della comunità) ed il sistema di riconoscimento di segnali amichevoli (che favorirebbe l’agire in gruppo. I soggetti affetti presenterebbero una iperattivazione del primo ed una ipoattivazione del secondo.

Il modello dell’apprendimento condizionato inquadra il disturbo da ansia sociale come la conseguenza di un’esperienza traumatica avvenuta in situazioni di interazione sociale. La ricerca ha dimostrato però che piuttosto che essere il fattore scatenante, esperienze negative di una certa intensità possono palesare un disturbo che era presente in forma latente. Che l’ambiente culturale abbia un ruolo nella manifestazione della malattia è indubbio comunque, basti pensare al Taijin Kyofusho una forma di ansia sociale presente soltanto in Giappone che si caratterizza con un forte timore di offendere il proprio interlocutore con il proprio rossore, odori corporei  o con atteggiamenti fuori luogo.

 

L’argomento è stato affrontato in uno studio che sarà pubblicato sul Journal of Anxiety Disorders dai ricercatori dell’Università del Maryland Nancy A. Heiser, Samuel M. Turner , Deborah C. Beidel  e Roxann Roberson-Nay, che hanno condotto un esperimento volto a determinare la relazione tra timidezza e ansia sociale coinvolgendo tre diversi gruppi di soggetti. I primi erano soggetti molto timidi a cui era stata diagnosticata ansia sociale, il secondo gruppo era costituito da persone altrettanto timide ma senza disturbo da ansia sociale, mentre l’ultimo gruppo comprendeva soggetti non timidi. Questi sono stati sottoposti a diverse prove di interazione sociale tra cui una prova di conversazione con uno sperimentatore addestrato ed una situazione in cui il soggetto, dopo tre minuti di preparazione, doveva tenere un discorso di cinque minuti in pubblico, a proposito di alcuni argomenti suggeriti dai ricercatori. La valutazione dei soggetti è stata compiuta sia attraverso questionari autosomministrati che valutavano la qualità della vita e le credenze riguardo la vita sociale percepite, sia attraverso misure fisiologiche che monitoravano alcuni parametri che tipicamente subiscono delle modificazioni in caso di stress sociale, come il battito cardiaco, la sudorazione e la pressione sanguigna. Inoltre le prove venivano registrate su video ed esaminate da giudici addestrati.

I risultati hanno dimostrato che come c’era da aspettarsi, i soggetti diagnosticati con ansia sociale, mostravano sintomi  somatici più evidenti rispetto al gruppo dei timidi, così come questi ultimi nei confronti dei non timidi. Per quanto riguarda le altre misure, si è osservato che il gruppo di ansiosi sociali mostrava un numero maggiore di paure connesse ad ambiti di interazione sociale, evitamento di questi e pensieri negativi rispetto al gruppo dei timidi, così come questi ultimi nei confronti dei non timidi. I risultati riguardanti la qualità della vita percepita seguono lo stesso pattern. Infine le prove comportamentali sono andate decisamente meglio di tutti ai non timidi, seguiti dai timidi e dietro questi coloro affetti da ansia sociale.

Questa scoperta ci spinge a sostenere l’ipotesi che vede le due condizioni come punti in un continuum, ma il fatto che circa un terzo del campione dei timidi non soffrisse di nessuna paura sociale supporta l’ipotesi che considera la timidezza e l’ansia sociale come due condizioni diverse che hanno delle aree di sovrapposizione.

L’interpretazione dei risultati insomma appare controversi, e solo la ricerca futura potrà dipanare la questione.

 Riguardo alle terapie farmacologiche, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) possono portare alcuni miglioramenti. Più efficaci, secondo l’esperienza clinica, sembrano essere gli inibitori delle monoaminossidasi (I-MAO), che tuttavia presentano numerosi effetti indesiderati di rilievo e necessitano di restrizioni alimentari che possono a loro volta causare difficoltà nelle situazioni sociali. Nell’ansia sociale circoscritta alle situazioni in cui ci si debba esibire in pubblico può essere efficace l’assunzione preventiva di un beta-bloccante.

 La terapia prevalentemente utilizzata per combattere l’ansia sociale  è, tuttavia, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, poiché essa è in grado di modificare alla radice i pensieri automatici e le convinzioni che stanno alla base del disturbo e di dare risultati stabili nel tempo.

Mauro Cavarra

In questo video tratto da una trasmissione Americana di medicina e salute si trova un’interessante intervista sull’ansia sociale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *