Solo

Claudia S. “Non ho molta voglia di uscire, non che mi importi. Solo che mi sento un po’ isolata, lontano dagli altri. Non capisco se sono io che voglio stare sola oppure mi ci ritrovo. Forse stare bene da soli è una risposta? Eppure tutti hanno legami…”

 

Tra le caratteristiche prototipiche dell’essere umano vi è quella di stabilire dei contatti con i propri simili. Questo non avviene solamente per soddisfare esigenze pratiche a livello familiare o di gruppo sociale, ma avviene naturalmente anche a prescindere da queste esigenze. Questo porta fra l’altro alla caratteristica, unica della nostra specie, di voler condividere con gli altri l’oggetto della propria attenzione, e alla capacità di farlo sin da piccoli, semplicemente puntando l’indice verso un oggetto o una scena che si sta svolgendo. I mammiferi di altre specie possono affiancarsi e collaborare tra loro cacciando una preda, mossi da una motivazione concreta e diversa dalla semplice condivisione di un’esperienza. Ma solo gli esseri umani appaiono interessati ad osservare insieme qualcosa anche in assenza di altre motivazioni pratiche, per il puro gusto di condividere la stessa esperienza. Questo avviene già nei bambini di soli nove mesi di età e senza che il bambino sia in grado di prevedere un qualsiasi vantaggio pratico da questo gesto. Per intenderci, il piccolo non indica solo un oggetto che desidera, come a volte avviene, per richiedere che esso gli sia avvicinato e dato in mano, ma indica qualcosa che lo colpisce perché è contento che anche la mamma lo veda. L’uomo, inoltre, ha la caratteristica di percepire un altro essere umano come simile a sé e si sente in grado di comprenderne le intenzioni in base ai comportamenti e alle emozioni che esprime.

A questo punto sembra naturale, che la condizione di solitudine, dovuta alle cause più disparate, possa causare disagio. Ciò non accade necessariamente a tutte le persone o in tutti i momenti di solitudine, quindi è importante distinguere tra il trovarsi da soli “in santa pace”, che può fare anche molto piacere, e il provare una sensazione di solitudine, che spesso è percepita come un’emozione negativa. Come uomini siamo motivati ad appartenere a gruppi con cui si possano condividere valori, credenze, scopi, interessi, piaceri, esperienze, ricordi. Di conseguenza le difficoltà nell’entrare a far parte di un gruppo o l’esserne rifiutati possono impedire o ledere lo sviluppo del senso di appartenenza, creando disagio esistenziale e influenzando negativamente l’autostima.

Ma la predisposizione a sviluppare abilità relazionali anche molto sofisticate è presente in tutti noi. Così come la capacità di passare del tempo da soli in maniera piacevole e produttiva può essere sviluppata, le nuove conoscenze sui meccanismi dell’entrare in relazione mettono a disposizione strumenti molto efficaci per aumentare le abilità relazionali.

 

Dr. Lorenzo MAGRI

Psicologo

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